Il professore di marketing David Dubois ha ideato il framework SPREAD, una guida scientifica alla viralità dei contenuti. Presentato su Harvard Business Review nel 2025, il modello individua sei leve – Socially useful, Provocative, Replicable, Emotional, Ambiguous, Distributive – che aumentano le probabilità di successo di una campagna. L’obiettivo non è “andare virali a tutti i costi”, ma creare messaggi autentici, condivisibili e sicuri per il brand. Dai casi Dove a Heinz, fino a Barbie, il framework mostra come la viralità possa diventare una strategia consapevole e sostenibile.
Chi è David Dubois
David Dubois è un accademico esperto di marketing digitale e comportamento dei consumatori nell’era dei social media. Attualmente ricopre il ruolo di Associate Professor of Marketing presso l’INSEAD, prestigiosa business school internazionale, dove è riconosciuto come uno dei massimi esperti mondiali di marketing basato sui dati e trasformazione digitale[1]. Ha conseguito un PhD alla Kellogg School of Management (Northwestern University) e la sua attività di ricerca e consulenza si focalizza sull’aiutare aziende e professionisti a sfruttare le tecnologie digitali – social media, IoT, intelligenza artificiale, blockchain – per ottenere insight sui clienti e vantaggi competitivi duraturi[2]. Tra i suoi principali interessi di ricerca figurano temi quali il comportamento del consumatore online, le strategie di social media, il passaparola e la viralità, l’influenza sociale e la gestione dei brand (in particolare nel settore del lusso)[3]. I suoi studi sono apparsi sia in autorevoli riviste accademiche (es. Journal of Consumer Research, Journal of Marketing, Nature Communications) sia in pubblicazioni manageriali come la Harvard Business Review[4]. Oltre all’attività di ricerca, Dubois tiene corsi MBA ed executive su digital marketing e analytics, e ha collaborato come formatore con aziende globali per guidarle nella trasformazione digitale e nelle strategie orientate al cliente[5].
Origine e struttura del framework SPREAD
Nel 2025 David Dubois ha introdotto il framework SPREAD come risposta alla domanda: come fare marketing virale in modo efficace ma sicuro per il brand? In un articolo pubblicato sulla Harvard Business Review (maggio 2025) e successivamente ripreso da altri media, Dubois sostiene che “diventare virali” è ancora possibile e auspicabile, purché lo si faccia con metodo e consapevolezza[6]. Il modello SPREAD, sviluppato da Dubois e presentato in HBR, nasce proprio con l’obiettivo di portare rigore scientifico nella creazione di contenuti virali, fornendo alle aziende una sorta di checklist per valutare in anticipo il potenziale virale di una campagna[7]. L’acronimo SPREAD corrisponde a sei dimensioni chiave (dall’inglese Sensitive, Provocative, Replicable, Emotional, Ambiguous, Distributive) validate da anni di ricerca accademica e formazione esecutiva[7]. In altre parole, il framework suggerisce che un contenuto “contagioso” dovrebbe idealmente possedere tutte (o gran parte) delle seguenti caratteristiche:
- S – Socially Useful and Sensitive (utile e sensibile dal punto di vista sociale): Il contenuto offre valore sociale o esprime una sensibilità condivisa, consentendo alle persone di identificarsi nei valori trasmessi e sentirsi migliori nel condividerlo[8][9]. In pratica, un messaggio che aiuta a esprimere empatia, sostenere una causa o mostrare appartenenza a una comunità rende gli utenti orgogliosi di diffonderlo.
- P – Provocative (ma non problematico): Il contenuto è provocatorio al punto giusto, sfida le convenzioni o stimola discussioni senza però risultare offensivo, superficiale o di cattivo gusto[10]. Una provocazione ben calibrata attira l’attenzione e invita al confronto, ma deve essere autentica e pertinente ai valori del brand, altrimenti rischia di trasformarsi in un boomerang negativo.
- R – Replicable (facile da replicare o remixare): Il contenuto è concepito in modo replicabile, cioè invita il pubblico a partecipare, imitare, reinventare o creare la propria versione[11]. Idee semplici e aperte (es. meme, sfide virali, hashtag tematici) stimolano gli utenti a contribuire generando ulteriore diffusione organica. Se le persone possono “far proprio” il contenuto (ad esempio attraverso remix, duet, UGC), la campagna avrà una portata amplificata.
- E – Emotional (emotivamente coinvolgente): Il contenuto suscita emozioni forti e autentiche in linea con il messaggio del brand[12]. Le emozioni – gioia, stupore, nostalgia, orgoglio, ecc. – sono il carburante della condivisione online, poiché le persone tendono a condividere ciò che le ha fatte ridere, commuovere o riflettere profondamente. È importante che l’emozione evocata sia coerente con il contesto del prodotto o servizio, altrimenti rischia di apparire artificiosa[13].
- A – Ambiguous (un po’ ambiguo e misterioso): Il contenuto contiene un elemento di ambiguità o mistero che stimola la curiosità e il desiderio di saperne di più[14][15]. Non tutto viene spiegato in modo esplicito: lasciando spazio all’interpretazione o inserendo messaggi velati, si crea nell’audience una “curiosità irresistibile” di discuterne e condividerlo per capire il significato. Un tocco di ambiguità ben dosata può generare hype e conversazioni (“Hai visto questo? Che significa secondo te?”), accrescendo la diffusione virale.
- D – Distributive (destinato a diffondersi su più piattaforme): Il contenuto è progettato per essere altamente condivisibile e adattabile ai vari canali e formati social, in modo da “viaggiare” facilmente attraverso la rete[16][17]. Ciò implica creare messaggi e media che funzionino su piattaforme diverse (Instagram, TikTok, Twitter, WhatsApp, ecc.), magari incoraggiando direttamente l’utente a inoltrarlo ad altri. Un contenuto distributivo prevede call-to-action come “Tagga un amico” o strumenti (es. filtri, template, hashtag dedicati) che invitano al sharing immediato su larga scala[18][17].
In sintesi, il framework SPREAD funge da filtro in sei punti per valutare e ottimizzare un’idea di contenuto prima del lancio: se rispetta queste dimensioni, ha molte più probabilità di diventare virale in modo positivo (cioè generando engagement autentico e non pubblicità negativa)[8]. Dubois sottolinea infatti che l’obiettivo non è “fare milioni di visualizzazioni a ogni costo”, bensì creare contenuti di valore, sicuri da condividere e allineati ai valori della marca[19][20]. SPREAD offre dunque un approccio sistematico per progettare la viralità “con criterio”, invece di affidarsi al caso o a trovate shock che possono danneggiare la reputazione del brand[21].
Applicazioni pratiche del framework (marketing, branding e social media)
Il framework SPREAD trova applicazione pratica soprattutto nella pianificazione strategica di campagne di marketing e comunicazione sui social media. In contesti di branding digitale, le sei leve di SPREAD possono guidare i team creativi nella valutazione pre-lancio dei contenuti: ad esempio, prima di pubblicare una nuova campagna si può usare SPREAD come checklist per capire se il messaggio è socialmente utile, abbastanza originale o emotivamente impattante, ecc.[21]. Diversi esperti lo descrivono come un utile strumento per assicurarsi che un contenuto sia al contempo “contagioso” e brand-safe*[8]. Ciò è cruciale in un’epoca in cui *“andare virali” può sì portare enorme visibilità, ma anche esposizione a critiche se il contenuto è fraintendibile o offensivo. SPREAD aiuta quindi a ottimizzare i contenuti prima della diffusione, bilanciando creatività e prudenza.
In ambito social media marketing, il modello viene utilizzato sia in fase di ideazione (brainstorming di campagne che incoraggino la partecipazione degli utenti, l’emozione e così via) sia in fase di audit di contenuti esistenti (per spiegare perché un post ha funzionato o meno). Ad esempio, la piattaforma ManyChat – specializzata in automazione per social e chat marketing – ha adottato il framework SPREAD nei suoi tutorial rivolti ai marketer, integrandolo come schema per creare contenuti virali in modo sostenibile. ManyChat descrive SPREAD come un filtro in sei dimensioni per assicurare che i post siano “contagiosi ma anche rispettosi” (cioè capaci di attrarre condivisioni senza mettere in imbarazzo il brand)[8]. Questa linea guida pratica indica che i principi di Dubois sono considerati rilevanti non solo in teoria, ma direttamente applicabili da aziende e professionisti del settore per migliorare le proprie strategie di content marketing.
Vale la pena notare che il framework SPREAD non è frutto di semplice intuizione, ma si basa su tendenze emerse da anni di ricerche e case study. Dubois ha potuto testarne l’efficacia collaborando con manager nei programmi executive di INSEAD, raffinandone le componenti sulla base di feedback reali[7]. Inoltre, evidenze da studi esterni supportano l’importanza di alcuni pilastri del modello. Ad esempio, una ricerca del Keller Center for Research (Baylor University) del 2024 ha analizzato il ruolo del linguaggio emozionale sulle performance online, trovando che contenuti che evocano emozioni intense e sono scritti in modo chiaro ottengono tempi di attenzione maggiori rispetto a contenuti neutri[22][23]. Questo risultato rispecchia perfettamente lo spirito di SPREAD, dove componente Emotional e semplicità del messaggio (in linea con Socially useful/sensitive) vanno di pari passo. In sintesi, le applicazioni pratiche di SPREAD spaziano dalla progettazione di campagne social, all’analisi di marketing virale, fino alla formazione manageriale sulle strategie digitali: in tutti questi ambiti il framework fornisce una griglia di riferimento per creare contenuti condivisibili e significativi, minimizzando il rischio di passi falsi comunicativi.
Pubblicazioni e riferimenti sul framework SPREAD
Il framework SPREAD è stato presentato ufficialmente da David Dubois nell’articolo “A New Framework for Going Viral” pubblicato su Harvard Business Review nel maggio 2025[24]. Questo articolo segna la prima apparizione organica del modello e funge da riferimento principale in cui Dubois espone le sei dimensioni e la logica alla base del framework. La rilevanza del tema – ossia come ottenere viralità “virtuosa” nelle campagne – ha fatto sì che il concetto venisse rapidamente ripreso da varie fonti divulgative e del settore marketing.
Ad esempio, Wired Italia ha dedicato un approfondimento al metodo SPREAD, definendolo “il metodo studiato da Harvard per diventare virali sui social”[25]. Nell’articolo di Wired (settembre 2025) si sottolinea come il framework proponga “una via scientifica per creare contenuti di successo senza scivolare nel ridicolo o nel dannoso”[25], evidenziando quindi l’equilibrio che SPREAD suggerisce di raggiungere. Wired riporta anche che le sei leve di SPREAD sono “validate da anni di ricerca e formazione executive” e servono ad anticipare se un contenuto verrà condiviso, portando esempi concreti a supporto[7].
Oltre ad HBR e Wired, il modello è stato discusso in diverse pubblicazioni di settore e blog di marketing internazionali. La stessa Harvard Business Review ne ha promosso i punti chiave anche sui social (es. attraverso un post riassuntivo su Instagram che elencava le sei dimensioni) e piattaforme come ManyChat e la digital agency Kwall ne hanno parlato nei loro blog. In un articolo divulgativo di Kwall, SPREAD viene descritto come “uno strumento basato su ricerche e risultati reali che fornisce ai marketer una checklist per assicurarsi che i contenuti siano sia di impatto sia sicuri da condividere”[26]. Allo stesso modo, blog specializzati in social media strategy hanno analizzato il framework, spiegandone l’utilità nell’era post-“virale a tutti i costi” e mettendo in guardia dalle derive di viralità effimera o negativa[19][20].
Dal punto di vista accademico, SPREAD è un framework concettuale orientato alla pratica manageriale, per cui non risulta (ad oggi) formalizzato in una pubblicazione scientifica peer-reviewed autonoma. Tuttavia, i suoi principi richiamano concetti studiati in letteratura (es. contagio sociale, psicologia delle condivisioni online, ecc.), e Dubois stesso, in quanto ricercatore, li ha derivati dalla sintesi di numerosi studi su word-of-mouth, social media e comportamento virale[4]. In definitiva, le fonti più autorevoli per approfondire SPREAD restano l’articolo originale su HBR[24] e i successivi articoli divulgativi (Wired, HBR blog, ManyChat, Kwall, ecc.), che ne forniscono interpretazioni pratiche e case study di supporto.
Esempi di utilizzo del framework SPREAD da parte di aziende
Sebbene il framework SPREAD sia di formulazione recente, diversi esempi di campagne reali ne incarnano già i principi, dimostrando come le aziende possano applicarlo (consapevolmente o meno) per ottenere successo virale senza compromettere la propria reputazione. Di seguito alcuni casi notevoli che riflettono le leve di SPREAD:
- Dove – “Cost of Beauty” (2023): il marchio di cosmetica Dove ha lanciato una campagna video sul tema degli effetti dei social media sulla salute mentale, mostrando storie emotive di giovani ragazze. Questo contenuto, fortemente sensibile dal punto di vista sociale e in linea con i valori del pubblico, ha raccolto un’enorme risonanza: si parla di miliardi di impression online generate e un impatto positivo sulle vendite[27]. La chiave del successo è stata offrire qualcosa di più di un semplice messaggio promozionale, bensì un tema in cui il pubblico poteva riconoscere i propri valori e sentirsi parte di un cambiamento positivo[28]. (Un caso analogo è la mascotte Duolingo su TikTok: il gufo verde è diventato virale non solo per comicità, ma perché ha creato un senso di community e appartenenza attorno all’apprendimento delle lingue[28]).
- Patagonia – “Don’t Buy This Jacket” (2011): un esempio classico di provocazione riuscita. L’azienda outdoor Patagonia pubblicò un’inserzione invitando paradossalmente i consumatori a non comprare un loro celebre giubbotto, per sensibilizzare contro il consumismo eccessivo. Questa mossa audace – in linea con i sinceri valori ecologisti del brand – fece scalpore in positivo, generando conversazioni e ammirazione per la coerenza etica di Patagonia[10]. Il principio SPREAD della provocazione “con giudizio” è pienamente rispettato: il messaggio sorprende e sfida una norma (comprare di meno anziché di più), ma lo fa in modo autentico e costruttivo, senza offendere nessuno. (Di contro, campagne provocatorie poco attente possono fallire: Dubois cita il caso Apple “Crush” – uno spot finito sotto accusa – a riprova che la provocazione fine a sé stessa può ritorcersi contro il brand[10]).
- Heinz – “Draw Ketchup” (2021): il gigante del food Heinz ha sfruttato la replicabilità lanciando una challenge globale: invitare chiunque a disegnare a mano libera una bottiglia di ketchup Heinz e condividere il disegno. L’idea semplice e giocosa ha innescato una valanga di contenuti spontanei degli utenti sui social[29]. In termini di risultati, la campagna ha generato milioni di dollari in media value (pubblicità gratuita grazie alle condivisioni) e persino una serie limitata di bottiglie con le etichette disegnate dai fan, esaurite nel giro di poche ore data la forte domanda[30]. Questo esempio incarna perfettamente la leva “Replicable”: Heinz ha fornito un template facile da imitare (il disegno dell’iconica bottiglia) e gli utenti si sono trasformati in co-creatori, amplificando esponenzialmente la portata del messaggio.
- Warner Bros – “Barbie / Barbenheimer” (2023): la campagna di marketing per il film Barbie ha sfruttato magistralmente la dimensione Distributive. Oltre ai tradizionali trailer, sono stati messi a disposizione tool personalizzabili (filtri, generatori di poster) e creati hashtag accattivanti. Il pubblico poteva ad esempio creare il proprio poster in stile Barbie e condividerlo sui social, cosa che è avvenuta su scala globale. L’iniziativa ha dato origine al fenomeno virale #Barbenheimer (il mashup tra Barbie e Oppenheimer, uscito nello stesso periodo), che ha invaso i feed di tutto il mondo e fungendo da enorme cassa di risonanza reciproca per entrambi i film[17]. In ottica SPREAD, Barbie è un caso esemplare di contenuto pensato “beyond the platform”: adattabile e spingente alla condivisione trasversale, dal meme su Twitter al filtro Instagram fino ai messaggi WhatsApp. Il risultato è stata una diffusione capillare del brand Barbie, alimentata dagli stessi utenti entusiasti.
Questi esempi dimostrano come i principi del framework SPREAD trovino riscontro concreto nelle strategie di comunicazione di aziende di diversi settori. Contenuti socialmente rilevanti, provocazioni intelligenti, format partecipativi, appeal emotivo, mistero intrigante e predisposizione multi-piattaforma si sono rivelati ingredienti vincenti per campagne virali di successo. Adottando un approccio strutturato come SPREAD, i brand possono ispirarsi a tali casi per progettare iniziative di marketing che “si diffondano” in rete in modo organico, generando engagement autentico e rafforzando al tempo stesso l’immagine di marca in maniera positiva e sostenibile[21][25].
Fonti:
– Profilo accademico di David Dubois su INSEAD[1][3]
– Articolo “A New Framework for Going Viral” di D. Dubois – Harvard Business Review (14/05/2025)[24]
– Articolo “Il metodo studiato da Harvard per diventare virali sui social” – Wired Italia (07/09/2025)[25][7][31]
– Blog ManyChat, “Virality is a Trap… Using the SPREAD Framework” (24/06/2025)[8]
– Blog Kwall, “The Truth About Going Viral: What Smart Brands Are Doing Instead” (18/06/2025)[26][27][30]
– Altre ricerche e case study citati: Keller Center/Baylor University (2024) via Wired[22], esempi di campagne virali recenti (Dove, Patagonia, Heinz, Warner Bros) via Wired[31][32][33].
[1] [2] [3] [4] [5] David Dubois | INSEAD
https://www.insead.edu/faculty/david-dubois
[6] [7] [9] [10] [17] [22] [23] [25] [28] [29] [31] [32] [33] Diventare virali sui social, il metodo studiato da Harvard | Wired Italia
[8] [14] [15] [16] [18] Virality is a Trap (but Here’s How to Exploit it Anyway Using the SPREAD Framework) – Manychat Blog
https://manychat.com/blog/new-framework-for-virality/
[11] [12] [13] [19] [20] [21] [26] [27] [30] The Truth About Going Viral: What Smart Brands Are Doing Instead – KWALL
[24] A New Framework for Going Viral